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Pallino

7 novembre 2013
Pallino di Michail Bulgakov, traduzione di Viveka Melander (tratto da "Cuore di cane", prima edizione originale 1928)


“Si preoccupa per me,” pensò il cane, “è un’ottima persona. Io so chi è. È l’incantatore, il mago, lo stregone delle favole per cani… Ma tutto questo non può essere un sogno… E invece, se fosse proprio un sogno?” Il cane trasalì nel sonno. “Mi sveglierò… e non ci sarà più niente. Né paralumi di seta né tepore né pancia piena. Ci sarà di nuovo il portone, il freddo terribile, l’asfalto ghiacciato, la fame, la gente cattiva… la mensa, la neve… Dio mio, come soffrirò...!”
Ma non accadde nulla di tutto questo. Fu invece il portone a svanire come un brutto sogno e non tornò mai più.
Evidentemente lo sfacelo non era poi così terribile, malgrado tutto, infatti, le fisarmoniche grigie sotto i davanzali delle finestre si riempivano due volte al giorno di un calore che si diffondeva a ondate per tutto l’appartamento.
Ormai era chiaro: Pallino aveva estratto il biglietto vincente di una lotteria canina. Ora, non meno di due volte al giorno, i suoi occhi si riempivano di lacrime di riconoscenza per il Saggio della Prečist’enka. E tutte le specchiere nel salotto, nella sala d’aspetto, tra gli armadi, rimandavano l’immagine di un cane bello e fortunato.
“Sono bellissimo. Forse sono un principe-cane sconosciuto, in incognito,” pensava Pallino guardano l’animale irsuto, color caffè, dal muso soddisfatto, che passeggiava nelle lontananze dello specchio. “È possibilissimo che mia nonna abbia peccato con un terranova. Ecco, guarda, ho una macchia bianca sul muso. Da chi l’avrò presa, mi domando. Filìpp Filìppovič è uomo di buon gusto., non avrebbe certo preso con sé il primo bastardo incontrato per strada.”

In una settimana il cane divorò più roba di quanta ne avesse rimediata nell’ultimo mese e mezzo di fame. Come quantità, s’intende. Della qualità del cibo, da Filìpp Filìppovič, non era neppure il caso di parlare. Anche senza considerare i diciotto copechi di ritagli di carne che ogni giorno Dar’ja Petrovna comprava al mercato di Smolénskaja, basterà ricordare i pasti delle sette, in sala da pranzo, ai quali il cane assisteva nonostante le proteste della  bella Zina. Durante questi pranzi Filìpp Filìppovič fu definitivamente elevato a divinità. Il cane si metteva sulle zampe posteriori e gli mordicchiava la giacca; imparò a riconoscere la sua scampanellata, due colpi sonori e staccati, da padrone, e volava ad accoglierlo abbaiando. Filìpp Filìppovič irrompeva nell’ingresso, avvolto nel cappotto di volpe argentata, cosparso da un milione di scintille di neve, odoroso di mandarini, sigari, profumo, limoni, benzina, acqua di colonia, panno, e la sua voce, come una tromba di comando, risuonava in tutta la casa.