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L'anello di acque lucenti

16 luglio 2013
Gavin Maxwell, Ed. Rizzoli

Poche specie di animali continuano a giocare una volta diventati adulti; sono occupati a mangiare, a dormire, a procreare, o a fare in modo di raggiungere uno o l’altro di questi fini. Ma le lontre costituiscono una delle rare eccezioni a questa regola: passano buona parte della loro vita in giochi che non richiedono nemmeno un compagno. Allo stato selvatico, giocano da sole per ore intere con qualsiasi oggetto che galleggi sull’acqua, spingendolo sotto in modo che schizzi fuori di nuovo, o lanciandolo con un colpo del capo perché atterri tra spruzzi e schizzi e diventi una preda da inseguire. Non vi è dubbio che nei loro territori giocano stese a pancia all’aria, come fanno le mie lontre, con dei piccoli oggetti che passano da un palmo all’altro facendoli scivolare lungo le zampe, perché a Camusfearna tutti i boschi vicini al mare sono pieni di piccole conchiglie e sassi rotondi portati lì solo per essere usati come giocattoli. Mij passava ore intere facendo rotolare per la stanza una pallina di gomma, come un giocatore di football a quattro gambe  che utilizza tutti e quattro i piedi per lavorare la palla, e riusciva anche a lanciarla, con un sorprendente colpo del collo, ad incredibili altezze e distanze. Giocava da solo o con me: ma il vero gioco a cui ogni lontra è fedele, il gioco dei lunghi ozi, l’espressione di un profondo benessere e di uno stomaco ben pasciuto  ritengo sia quando la lontra, stesa a pancia all’aria, fa il giocoliere con dei piccoli oggetti tra le zampe. Si abbandonano a questi esercizi con straordinaria abilità e concentrazione, simili ad un prestigiatore che cerca di perfezionare i propri trucchi, alla ricerca forse di alcuni segreti traguardi, misteriosi per chi osserva. Col passar del tempo, le palline di vetro divennero i giocattoli preferiti di Mij per questo tipo di passatempo- ché di passatempo si tratta, senza nessuna forma di antropomorfizzazione- ; riusciva a stare per lunghi minuti a pancia all’aria, facendo rotolare due o più palline su e giù lungo la sua ampia pancia piatta, o passandosele tra le mani palmate tese in alto senza mai farne cadere una sul pavimento. Già durante quei primi quindici giorni a Basra, imparai a decifrare gran parte del linguaggio di Mij, un linguaggio, scoprii in seguito, usato anche da molte altre specie di lontre, anche se con curiose varianti nell’uso. L’inflessione dei suoni varia notevolmente. Il suono più semplice è la nota di richiamo, quasi sempre uguale in tutte le lontre che mi è capitato di incontrare; un verso breve, preoccupato, acuto anche se non aspro, qualcosa a metà strada tra un sibilo e un pigolio. C’è anche una domanda, usata per distanze ravvicinate; Mij entrava in una stanza, per esempio, e si informava se là dentro c’era qualcuno con un “ha!”,  simile ad un forte, roco bisbiglio. Quando si accorgeva che mi preparavo a portarlo fuori o in bagno, sedeva vicino alla porta emettendo un gorgoglio musicale intervallato con pigolii; ma era il pigolio nelle sue svariate inflessioni e combinazioni di alti e bassi, dalla singola querula nota ad un continuo, ininterrotto fluire, a costituire il più importante mezzo di comunicazione di Mij. Usava anche un’altra nota, diversa da tutte queste, un aspro, feroce miagolio, una sorta di strillo lamentoso, che significava inequivocabilmente che era molto arrabbiato e, se provocato ulteriormente, poteva anche mordere.