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Il lupo e il ragazzo

2 gennaio 2013
Il lupo e il ragazzo di Daniel Pennac (tratto da "L'occhio del lupo", ed. Salani, 1993)


Ma quel ragazzo lì, no. Rimane in piedi, immobile, silenzioso. Solo i suoi occhi si muovono: seguono il viavai del lupo, lungo la rete.
‘E che, non ha mai visto un lupo?’
Dal canto suo, il lupo non riesce a scorgere il ragazzo che una volta su due. Perché non ha che un occhio, il lupo. Ha perduto l’altro lottando contro gli uomini, dieci anni fa, il giorno che fu catturato.
All’andata dunque (se quella si può chiamare andata), il lupo vede lo zoo tutto intero, con le sue gabbie, i bambini che impazzano e, in mezzo a loro, quel ragazzo del tutto immobile.
Al ritorno (se quello si può chiamare ritorno), il lupo non vede che l’interno del recinto. Un recinto vuoto, perché la lupa è morta la settimana passata. Un recinto triste, con la sua unica roccia grigia e il suo albero morto. Poi il lupo fa dietrofront, ed ecco lì di nuovo il ragazzo, col respiro regolare che emana vapore bianco nell’aria fredda.
‘Si stancherà prima di me’ pensa il lupo continuando il suo andirivieni.
E aggiunge: ‘Sono più paziente di lui’.
E aggiunge ancora: ‘Io sono il lupo’.

II
Ma il mattino dopo, svegliandosi, la prima cosa che il lupo vede è il ragazzo, in piedi davanti al recinto, sempre nello stesso punto. Per poco, il lupo non è trasalito.
‘Non avrà mica passato la notte qui!’
Si è controllato in tempo e ha ripreso il suo andirivieni come se niente fosse.
È un’ora ormai, che il lupo trotta. Un’ora che gli occhi del ragazzo lo seguono. Il pelo azzurro del lupo sfiora la rete. I muscoli guizzano sotto il pelame invernale. Il lupo azzurro trotta come se non dovesse fermarsi mai. Come se stesse tornando a casa sua, lassù, in Alaska. «Lupo d’Alaska» sta scritto sulla targhetta di ferro, sulla rete. E per maggiore chiarezza c’è anche una carta del Grande Nord, con una regione segnata in rosso. «Lupo d’Alaska, Barren Lands»…
Posandosi al suolo, le zampe non fanno rumore. Continua ad andare da un capo all’altro del recinto: si direbbe il pendolo silenzioso di un grande orologio. E gli occhi del ragazzo hanno un movimento lentissimo, come se seguissero una partita di tennis al rallentatore.
‘Che ho, da interessarlo tanto?’
Il lupo aggrotta le sopracciglia; piccole onde di pelo ritto vanno a smorzarsi intorno al muso. Gli secca porsi tutte quelle domande a proposito del ragazzo. Si era ripromesso di non interessarsi mai più agli uomini.
E, da dieci anni, mantiene la parola: non un solo pensiero per gli uomini, non uno sguardo, niente. Non per i bambini che fanno i pagliacci davanti alla sua gabbia, né per l’inserviente che gli getta la carne da lontano, né per i pittori della domenica che vengono a ritrarlo, né per quelle mamme idiote che lo indicano sbraitando ai loro bambini: «Ecco, quello è il lupo, se non fai il bravo te la vedrai con lui!» Niente di niente.
‘Il migliore degli uomini non vale assolutamente nulla!’
Così ripeteva sempre Fiamma Nera, la mamma del lupo.
Fino a una settimana prima, qualche volta il lupo aveva smesso di trottare. La lupa e lui si sedevano di fronte ai visitatori, ma era proprio come se non li vedessero: il lupo e la lupa guardavano fisso davanti a sé e il loro sguardo vi passava attraverso. Si aveva l’impressione di non esistere. Assai spiacevole.
«Cos’è che fissano in quel modo?»
«Cos’è che vedono?»
E poi la lupa è morta (era bianca e grigia, come una pernice delle nevi); da allora il lupo non si è più fermato. Trotta da mattina a sera, mentre la carne si gela per terra intorno a lui. Fuori, dritto come una «i» (col puntino formato dal vapore bianco), il ragazzo lo fissa.
‘Peggio per lui’ decide il lupo.
E smette di pensare al ragazzo.