28 febbraio 2014
“I segreti del bosco”, di Giancarlo Ferron (Edizioni Biblioteca Dell’Immagine, 2006)
“Steli secchi, rami intricati di arbusti spogli, pascolo ingiallito e silenzio: quella inconfondibile quiete e quell’odore dell’aria che c’è sempre quando nevica.
Tutto sembrava non voler svegliarsi dal torpore dell’inverno che tardava a partire. Venne in quel momento un camoscio da monte, camminando in discesa sullo spigolo. Anche la mia figura era appannata dal nevicare ed ero fermo: il camoscio non mi vide, né sentì il mio odore, oppure mi prese per un tronco e continuò a scendere verso di me: trenta metri, venticinque … quindici. Fermo. Ancora qualche passo: tredici … undici … dieci. Fermo. Mi guardò incerto senza capire. Gli vedevo gli occhi. Il camoscio ha le pupille oblunghe poste orizzontalmente dentro iridi marron ambrate, ma a quella distanza gli occhi non erano che palle scure e lucenti. Guardandomi, piegava la testa da un lato e dall’altro, per meglio osservarmi, ma non capiva chi o che cosa io fossi; però sospettava. Essere guardati così da vicino dal re delle rocce è un privilegio raro e dà una sensazione molto forte. Il sapere che se mi fossi mosso di un pelo il camoscio sarebbe balzato via spaventato a morte, m’infastidiva moltissimo.
Altri due passi ancora: otto metri e mezzo, forse nove. Fermo. I piccoli granellini d’acqua ghiacciata continuavano a cadere folti e si vedevano bene per contrasto contro il suo mantello nero. Il bianco cominciava a imbrinargli il dorso, ancora protetto dal pelo invernale. Anche il suo respiro fumoso di freddo si vedeva, e forse lui vedeva il mio e per questo intuiva il mio essere vivo. Un altro passo, però solo con una zampa anteriore e poi il collo teso e il muso allungato verso di me, nel tentativo di arrivarmi più vicino con le narici. Sentì il mio odore o forse percepì l’attenzione del mio sguardo: capì e non ebbe più dubbi. Si girò e si allontanò furtivo, ma senza correre, come chi ha superato un confine che non doveva e tenta di scappare senza farsi notare. Io rimasi ancora immobile, lui si fermò un istante a guardarmi prima di superare il dosso e poi sparì.
Anche a chi passa la vita nei boschi capita molto raramente di essere avvicinati in questo modo da animali sani e liberi: per ogni volta che mi è successo conservo un ricordo preciso nei particolari e definito nei contorni. Mi rimangono anche gli effetti di un respiro trattenuto, frammenti di bellezza viva, l’odore dell’aria e il batticuore di un attimo. Quasi che a vivere questi fatti fosse un’interiorità che si attiva solo in presenza di coincidenze indipendenti dalla volontà.”